di Leonardo Cicalese
Autore del romanzo I giorni del Tanagro (pp. 277, €12,00, pubblicato nella collana Saille-Racconti e poesie, Scuderi Editrice), è Raffaele Beato, a mio avviso, tale di cognome e di fatto perché, durante il servizio prestato alla Cassa per il Mezzogiorno, ha trascorso anni indimenticabili nella zona dell’Alto Sele-Tanagro, prima di essere nominato Direttore Generale dell’E.R.S.A.C. e Direttore dell’Osservatorio dell’Appennino Meridionale dell’Università degli Studi di Salerno.
Il secondo cimento letterario di Beato (dottore in Scienze Agrarie e Forestali) che, per lavoro, si è recato nelle più importanti città dell’emisfero settentrionale ed ha trascorso numerose settimane negli uffici newyorkesi del W.T.C., è scritto in modo piacevole e con ricchezza di particolari.
Dalla lettura del libro i giovani apprenderanno le vicissitudini degli abitanti di uno specifico comprensorio del cosiddetto osso appenninico e della lotta, nell’immediato dopoguerra, dei braccianti per la conquista del lavoro quotidiano, episodi introvabili anche nei corposi testi di Storia adottati nelle Scuole.
Le persone mature avranno la possibilità, leggendo, di assaporare, fra l’altro, il genuino cibo, dei tempi passati, delle aree interne della nostra provincia.
La narrazione scorre come acqua di un fiume, nei suoi tre stadi vitali.
Il prezioso liquido rappresenta, da sempre, vita; da essa abbiamo avuto origine, non a caso Gange, in lingua hindi, significa vita.
Il Tànagro nasce in Lucania, dal gruppo del Sirino, a 2000 mt. di altitudine, col nome di Calore, percorre, canalizzato, il Vallo di Diano col nome citato poc’anzi, per confluire nel Sele, a Sud di Contursi.
Allorquando si è ritenuto denominare il corso d’acqua di cui parliamo, molto probabilmente, si è fatto riferimento all’origine dei primi abitatori della zona provenienti dall’antica regione, matrice della civiltà europea, ove è ubicata Tànagra, nomo di Beozia, nota per la sua vasta area archelogica e per le figurine fittili, di bella fattura e vivaci colori, patria di Corinna.
Ancora l’acqua è rappresentata, in copertina, con uno scorcio del Platano, anch’esso affluente del Sele, col millenario ponte fatto costruire dal Baal di Cartagine affinché, senza problemi, il suo esercito potesse valicare il fiume. Nella lettura si ha modo di conoscere persone dall’umanità variegata: dal notaio, giovane viveur, non abbastanza professionalizzato, ricco, al notaio dei poveri, degno ufficiale di Stato; dal giovane sindacalista, motivato ed onesto, al corrotto rappresentante dei braccianti; dal nobile parsimonioso a quello dedito ai giochi di carte francesi al Circolo dei cacciatori; dalle accattivanti zitelle, una barista, l’altra magliaia, alle mogli di uomini benestanti, non entusiaste del menage coniugale; dal parroco giovane che parla al cuore dei fedeli, al Vescovo, amico degli agrari, censore del prevosto; dagli elettori bianchi (democristiani) ai rossi (socialcomunisti) e così via.
Degnissime di nota le descrizioni del paesaggio visibile e di quello sensibile: colori di albe e tramonti, provenienza di venti, posizionamento dei terreni coltivabili, natura delle colture, bisbiglii di vegetali ed animali, identificazione di prodotti agricoli che anticipano il marchio P.T.L. (Prodotto Tipico Locale), di recente concezione.
Esaltanti i mini capitoli così denominati: ‘A turniata (tipica manifestazione popolare in onore di S. Vito; La lettera del conte Ludovico (il chiarimento di un funambolo poco esperto che, tuttavia, riesce a percorrere il cavo disteso, senza cadere); Il fotografo (descrizione di un pastore, in agonia, raccontata con l’arte pittorica del Merisi); I consigli di Peppe Nicastro (un acuto bracciante che esprime il suo pensiero in dialetto locale).
Chi mi conosce sa che sono parsimonioso nei complimenti, in codesta occasione, non posso esimermi dall’apprezzare il racconto di Beato e plaudire all’editore che ha stampato il libro.