di Pasqualina Cammarano *
Decori delicati, neoclassici, romantici, leggeri nella ragione della fede sulle volte e la cupola color burro della Parrocchia della Natività. Quante storie emerse e sommerse nel contiguo convento di Sant’Elisabetta che allegro e festoso rimira la chiesa del Carmine, la chiesa dell’Assunta, la campagna della valle fra la Rocca e gli Alburni e il convento francescano di Santa Maria delle Grazie!
Piazza Venti Settembre ombreggiata dal leccio simbolo e narratore delle vicende del Regno di Napoli a fine Settecento, con sobria e distinta eleganza vigila premurosa la vita dei rocchesi, dei viandanti della Valle del Calore laboriosi nei luoghi dell’Aspide/ Asclepio, degli adolescenti della Dante Alighieri e dei giovani del Parmenide.
Contrafforti in ciottoli strappati alle rive del fiume Calore disseminati nel cuore antico della Rocca sulle mura di arcigne e poderose casine appicciate sul cocuzzolo a sud dei Monti Alburni.
Cespugli di bocche di leone, chiome di aristolochie, campanelle bianche di erba serpentina tra le feritoie della torre del castello dipingono un incantevole inedito Canaletto.
I resti possenti e solitari di Santa Maria dell’Arco intenti ad intrattener gli sguardi dei passanti senza fretta e amanti della storia dei paesaggi.
I segni della via borbonica e la lapide scolpita sulla roccia riportano alla memoria la storia di Orfeo ed Euridice scolpita sul tumulo all’entrata della chiesa del Carmine.
E poi il mare, il golfo, Capri, quasi a un passo dal declivio, sorridenti, impareggiabili doni dell’animo.
Nella campagna verso il Calore, tralicci superbi, Monte Doglie sentinella della pianura, del mare e del clima, casolari, fienili, filari di gelsi, di noci, alveari appollaiati tra cespugli di salici.
Dolomiti voluminose e determinate all’orizzonte si disperdono progressivamente e sgretolano il confine tra il cielo e il golfo di Salerno.
Festa di rondini sui fili della luce, api tra i fiori penduli e appassiti color crema della solitaria chioma di banano in un orto-giardino della campagna fontese.
Le foglie del banano linciate dal caldo umido del libeccio dal tono un po’ ruggine si fanno compagnia con quelle dei fagioli rampicanti.
2
Le zucche pronte a divenire color carota da mattina a sera rallentano il legame della prima estate con i contigui alberi di agrumi. Quei tralci cresciuti sotto sguardi premurosi non tengono più stretti come nei giorni della giovinezza i rami degli alberi dai frutti invernali e dalle foglie sempreverdi.
Sotto i raggi tiepidi del sole di San Martino sono aranci, mandarini, limoni a proseguire l’evoluzione della loro natura. Lo narrano con ritmo vigoroso, nutrono i loro frutti dai volti adolescenziali e raccontano a chi li cura che intendono condurli verso il divenire color arancio.
Nel cielo plumbeo una montagna di zucchero filato galleggia sul villaggio di Verna e la stella per tante notti sentinella sul cocuzzolo di Tempone Cotruzzo e gli agglomerati di Serra, Casalotti, Taverna, Fonte, Seude si incammina verso il mare.
Solitarie e lente ombre di vapore si disperdono fra la volta celeste e il querceto intorno alla collina di San Michele che laborioso flette e agita le chiome alle calme e impetuose onde d’ossigeno inviate loro dalle onde armoniose e mai irritate del vicino mare di Paestum.
Mirtilli e ginestre s’inchinano a soffi delicati d’ossigeno, il verde tenue dei giovani e fluttuanti rami si confonde col giallo ocra del corpo sassoso, poroso, addolorato, flagellato, tormentato da una piazza sbozzata da decenni a valle del versante nord occidentale della collina.
L’estesa e distesa pianura fra i poggi di Albanella, i cespugli di bambù e i pioppi alti e snelli e intenti a costeggiar il torrente La Cosa, le colline di castagneti della Rocca sonnecchiano sotto la brina.
Dall’imbrunire i silos grandi e solitari del latifondo dei D’Elia vegliano sui campi di grano infreddoliti e sulle sparse e rare case e masserie di bufale, mucche e bestiole da cortile e abbracciano e accarezzano i ruderi miti e sommersi da rovi e salici e pioppi quasi secolari del mulino ad acqua lungo la riva settentrionale del torrente La Cosa.
Gli uliveti, alcuni tacciono sereni altri piangono i dolori delle strattonate procurate loro dai rastrelli meccanici. San Martino e la cima dei Monti Alburni preludio di pace, serenità attesa, echi del Natale.
3
Le luci delle case di San Martino inchiodate alla cima dei Monti, un presepe esteso, intento a dialogare col mondo che lo scruta con gli occhi del cuore.
Mie montagne all’alba sembrate le prime della classe, i vicinati adagiati sul declivio settentrionale sembrano presepi di terracotta cosparsi sulla vostra potenza, sulla vostra sostanza e sul vostro vestito di tutte le stagioni.
Mie montagne sempreverdi con pochi e rari segni dell’autunno e dell’inverno vi seguo quando il velo di vapore nasconde i corsi d’acqua, i sentieri dei taglialegna, i viottoli per il trasporto delle castagne e delle legna fra i vicinati e verso valle, vi seguo fin quando il velo di nebbia si deposita nel sottobosco e riapparite col vostro vestito verde cupo con lievi spolverate di bianco latte proveniente dai comignoli che bruciano legna per preparare le caldarroste scese a valle all’imbrunire dai castagnai.
Quando si fa sera fonda si capisce che ci siete per la presenza delle luci accese fra i borghi disseminati sui vostri piccoli ripiani pianeggianti, solitari, identitari, sprizzanti di impareggiabile calma.